“Mettere in
tavola un pollo, un coniglio, presuppone la fine, spesso cruenta, certo sempre
drammatica, dell'animale.
L'esperienza
orientale mi aveva svelato il mio essere vegetariano.
Un atto violento
che sta all'origine del piatto ne determina il carattere.
La non violenza
(ahimsa) verso la natura è una delle basi importanti per il nostro equilibrio
psicofisico.
Un approccio
aggressivo è causa di malessere, un approccio rispettoso porta benessere. Noi
siamo parti della natura, rispettandola ci rispettiamo, stiamo meglio e ci
sentiamo meglio.”
“[...] la cucina
vegetariana è addirittura liberatoria, nel senso che la presenza di un
ingrediente come la carne limita le potenzialità di uno chef costringendolo a
focalizzare l'attenzione su quell'unico protagonista.
Di solito,
infatti, il piatto carnivoro nasce per esaltare il sapore principale e la
costruzione della ricetta ruota intorno a questo.
In questo modo,
lo spettro di combinazioni possibili, per quanto numeroso, non è mai ampio
quanto quello che a mio avviso offre il prodotto naturale: verdura, frutta,
cereali, semi, fiori, spezie. [...]
Trovo molto più
interessante la cucina naturale perché celebra la vita e i suoi prodotti
stagionali e non la morte dell'animale.”
“Con i miei
piatti voglio celebrare la vita, la gioia.
La morte, in
cucina, si associa al mondo animale.
Che cos'erano,
d'altra parte, un piccione o un'anitra, serviti interi, come accadeva con la
cucina tradizionale, se non una rappresentazione, anche nella forma, della
morte?
Per quanto mi
riguarda, credo che la morte sia realtà da accettare, anzi, presenza con cui
avere rapporto dialettico, visto che si tratta del mistero più alto
dell'esistenza di ciascuno di noi.
Ma con la cucina
credo sia doveroso promuovere un approccio pacifico alla natura.”
- Pietro Leemann