"In prima persona ne ho visti
troppi di animali macellati dal vivo.
Non solo da piccolo, per la vicinanza della mia casa paterna dal macello, piccolo ma assai attivo, di Tavagnacco, ma anche negli anni successivi.
Una delle scene più agghiaccianti
la vissi quando negli anni ’70 lavoravo per il quotidiano friulano Messaggero
Veneto.
Nemmeno farlo apposta fui
incaricato un giorno di descrivere l’attività del grande macello di Udine che
si trovava in una zona verde non molto lontana dal centro città. Una
costruzione bassa e strana al centro di un ampio prato erboso recintato tutto
intorno da alta rete metallica. Uno spesso muro separatore attiguo alla sede,
al di là del quale avvenivano evidentemente gli squartamenti e le
decapitazioni, e da dove provenivano muggiti raggelanti di paura, di
sofferenza, di richiesta d’aiuto a qualcosa e a qualcuno che non ascoltava.
Ricordo ancora che, prima di
varcare il cancello d’ingresso per incontrare il dirigente incaricato, volli
dare un’occhiata d’assieme dall’esterno, camminando da solo lungo il perimetro
di recinzione.
Notai decine di bovini, forse una
cinquantina, che si muovevano convulsamente con movimenti strani ed innaturali,
correndo all’impazzata, scontrandosi l’un l’altro e carambolando spesso al
suolo.
Non si trattava certo di un gioco
di gruppo.
Osservando meglio compresi che
scattavano in continuazione dal centro dello spiazzo per prendere velocità e
finivano con violenza contro la rete metallica, nel vano e disperato tentativo
di abbatterla o di superarla, per svignarsela da quel luogo infame.
Avevano percepito con esattezza
che quella era per loro l’ultima dimora, dopo essere stati scaricati la notte
prima dai camion, assetati ed affamati, provenienti probabilmente dall’Ungheria
e dall’Est Europa.
Ovviamente si ferivano e avevano
tutti il viso imbrattato di sangue.
Le stesse reti erano sporche del
sangue di queste povere creature abbandonate da Dio e tradite dagli uomini,
creature vocianti, ansimanti e tremanti, prive di qualsiasi mezzo per
difendersi o per invertire le sorti malevoli e sommamente ingenerose del loro
percorso.
Una scena apocalittica che mi è
rimasta impressa a vita nella mente.
Scattai qualche foto con un
groppo in gola e conclusi l’articolo con una intervista ai responsabili del
macello in zona uffici, dove raccolsi dati e statistiche raggelanti sulle cifre
degli abbattimenti giornalieri e sul bilancio in forte crescita di
quell’orribile business.”
Testo di Valdo Vaccaro