La notte tra il 10 e l’11 ottobre del 1985, il Boeing 737
delle linee aeree egiziane che trasportava i quattro dirottatori dell’Achille
Lauro, il rappresentante dell'Organizzazione per la Liberazione della Palestina(OLP)
e collaboratore di Yasser Arafat, Hani el Hassan, e il membro del Fronte
Popolare per la Liberazione della Palestina (FPLP), Abu Abbas, e che era stato
intercettato unilateralmente da 4 caccia americani Tomcat, venne dirottato
dagli Stati Uniti alla base aerea di Sigonella dove atterrò alle 00.15.
L’ordine di Bettino Craxi, allora presidente del consiglio,
fu quello di prendere in consegna i dirottatori palestinesi e i rappresentanti
di OLP e FPLP visto che il crimine era stato commesso su una nave italiana.
Un gruppo di 20 carabinieri e 30 avieri della Vigilanza
Aeronautica Militare circondò il Boeing 737 egiziano.
Pochi minuti dopo, però, anche due aerei della Delta Force
americana, non autorizzati, atterrarono sulla pista di Sigonella con l’ordine
di prelevare i passeggeri del volo egiziano.
Un folto gruppo di incursori della Delta Force raggiunse
quindi il velivolo e circondò, armi in mano, il cordone formato da carabinieri
e militari italiani.
Subito un secondo cordone di carabinieri, che erano nel
frattempo arrivati dalle vicine caserme di Catania e Siracusa, circondò a sua
volta, con le armi puntate, il manipolo americano. Si formarono così tre cerchi
concentrici intorno all’aereo.
In quelle ore concitate furono enormi le pressioni
americane affinché gli venissero consegnati i dirottatori e i rappresentanti di
OLP e FPLP.
Il Governo italiano però non cedette e restò sulle sue
posizioni: il reato era stato commesso su una nave italiana e la competenza
riguardava quindi l’Italia.
Alle prime luci dell’alba il comandante generale dei
carabinieri fece intervenire a Sigonella (sempre su ordine di Craxi) i blindati
dell'Arma e altre unità di rinforzo che si disposero intorno ai 3 cerchi
concentrici in mezzo ai restava il Boeing 737 dell’EgyptAir.
Solo a quel punto il presidente americano Ronald Reagan si
rassegnò e diede l’ordine alle forze americane di ritirarsi.
Quello di 40 anni fa è stato uno degli ultimi sussulti di
dignità di un Paese che da quel momento in poi si è sempre più rassegnato al
proprio ruolo di colonia, rinunciando anche solo all’idea di poter lottare per
la propria sovranità.
Ma non si tratta di un destino scolpito nella pietra. La
storia, anche quella italiana, ci insegna che un popolo, un Paese, sono in
grado di ribellarsi agli occupanti e alle ingerenze straniere. Che il diritto
all’autodeterminazione di un popolo può essere conquistato.
Per riuscirci, la prima cosa da fare è liberarci di una
classe dirigente, politica e non solo, composta oggi prevalentemente da pavidi
servi e da ciarlatani.
Gente abituata a stare sempre ossequiosamente piegata al
cospetto degli ordini dello straniero di turno (venga esso da Washington, da
Londra, da Bruxelles, da Parigi o da Berlino).
La prima catena che dobbiamo rompere è quindi quella del vincolo
interno. Quella cioè dei garanti (conto terzi) del vincolo esterno. Dei
traditori della Patria.
